El mul pené hamenorà yaìrou Shivàt haneròt”, di fronte alla Menorà illumineranno i sette lumi. Il lume centrale del candelabro è più elevato degli altri, e gli altri sei convergono nella sua direzione. Il versetto avrebbe dovuto parlare quindi di “sei lumi” e non di sette. Diverse interpretazioni sono state presentate in proposito. Lo Zohar riporta: “Si tratta delle sette luci della Menorà terrestre di fronte a quella celeste, in quanto il Santuario terrestre si trova di fronte al Santuario celeste”. Altri commentatori notano che la Torà non ha mai dato molto peso alla precisione delle cifre. Ad esempio, il tempo che decorre tra Pesach e Shavuot è esattamente di quarantanove giorni, mentre i Testi parlano di cinquanta giorni. Queste illustrazioni però non portano nessuna delucidazione convincente al nostro quesito. Ma la risposta è molto più semplice: benché ci fosse un lume in posizione più alta degli altri, tutti e sette avevano lo stesso livello di santità. Questa è anche la ragione per la quale la Menorà è stata scolpita a partire da un blocco monolitico di oro massiccio.

La fabbricazione

La fabbricazione della Menorà fu un vero grattacapo per Moshè. Per quanto riguarda gli altri utensili del Mishkàn-Santuario, egli aveva seguito le dettagliate istruzioni impartitegli da Hashèm. Per la Menorà, invece, ignorava quale aspetto essa dovesse avere. Mentre si tormentava per la questione, ebbe una visione - riferisce il Midràsh – nella quale gli si presentava la struttura esatta della Menorà. Doveva essere fabbricata a partire da un unico blocco affinché nessun elemento potesse essere smontabile. Doveva essere composta da tre parti principali: un braccio centrale, dal quale si ramificavano altri tre da ambo le parti con forma di angolo acuto.

La seconda parte consisteva in 22 Gheviim – calici, rappresentanti le 22 lettere dell’alfabeto ebraico. La terza parte recava nove fiori. Le tre parti costituivano un insieme senza giunture. Il Midràsh spiega che la Menorà è l’emblema del popolo ebraico per antonomasia. Il braccio centrale simboleggia gli israeliti che consacrano la loro vita allo studio e alla pratica delle mitzvot. I calici ritraggono coloro che credono che valga la pena di vivere la vita solo nell’agio, nell’opulenza e nell’accumulo dei beni materiali. I fiori rappresentano lo strato del popolo che trascura l’osservanza delle mitzvot per prendersi cura esclusivamente della propria famiglia, ritenendola l’unica fonte di felicità. La durata di vita di un fiore è di tre giorni. Questa categoria di israeliti, infatti, si avvicina all’ebraismo solo tre giorni all’anno: nei due giorni di Rosh Hashanà e a Yom Kippùr. Alla luce di quanto sopra, si capisce meglio il messaggio che Hashem intende trasmettere: il popolo ebraico è fatto di un solo pezzo, nonostante i divergenti punti di vista e le policromate condotte di vita. Pertanto, nessuno può arrogarsi il diritto di respingere un membro della comunità adducendo come pretesto il fatto che egli non applichi tutti i comandamenti. Il ruolo di coloro che evolvono nella Torà è di mostrare l’esempio e di palesare la felicità di essere ebrei in senso compiuto. In ognuno di noi deve serbare la speranza di rivedere un giorno il popolo più antico del mondo riformasi quale unica entità, senza giunture, proprio come la Menorà.