Lo scopo dell’educazione

In un solo versetto «Educa tuo figlio secondo la sua via: anche quando crescerà, non vi rinuncerà », il re Salomone rivela diversi concetti fondamentali, suggeriti dalla Torà, sull’approccio dell’educazione dei figli. L’educazione non tende solo a trasmettere informazioni ma anche a plasmare il carattere del figlio o dell’allievo e ad incanalarlo su una strada che potrà seguire tutta la vita.

Ogni bambino si incammina in una “via” seguendo un itinerario preciso tracciato dalla sua formazione educativa. Il passaggio in questa terra non permette la staticità e il movimento deve seguire una linea di condotta disegnata dai genitori ed educatori. E un bambino deve essere pronto a queste transizioni in modo da non venir colto di sorpresa. L’istruzione dei giovani deve costruire una base di valori e di principi che insegneranno loro ad affrontare il futuro e a sormontare gli ostacoli della vita. Solo così essi saranno dotati della concentrazione e della forza interiore che li orienteranno nella direzione giusta e li prepareranno ad affrontare e a vincere le sfide della vita. Edotti dei principi e dei valori fondamentali giusti, l’energia che nascerà in loro li condurrà istintivamente a cercare esperienze positive.

Incoraggiare l’individualità

Per il maestro o il genitore è importantissimo essere consapevole del fatto che ogni bambino ha una « sua via », una natura propria. Come diceva il Rebbe precedente: «Ogni ebreo è investito di una missione spirituale nella sua vita». Sebbene condividiamo tutti l’obiettivo di trasformare questo mondo in una residenza per il Hashèm (il Sig-re), ognuno di noi è dotato di attitudini e di propensioni individuali. La loro espressione permette al disegno divino di manifestarsi intraprendendo camminidiversi, conferendo al disegno divino una portata molto più ampia.

Pertanto, un insegnante non deve pungolare tutti gli allievi mediante gli stessi criteri. Innanzitutto, deve studiare ed esaminare le indoli e le peculiarità di ogni allievo e poi coltivarle secondo la sua natura. E anche quando si insegnano le verità universali della Torà lo strumento del maestro non deve essere il conformismo. Egli deve cercare di infondere in ogni allievo queste verità con metodi personalizzati che si addicano al carattere di ciascuno.

Lumi scintillanti

La parashà Beha’alotechà si apre con il comandamento impartito ad Aharòn (Aronne, il Sommo Sacerdote, fratello di Mosè) di accendere la Menorà nel Santuario. La Menorà rappresenta il popolo ebraico il cui ruolo è di diffondere luce divina nel mondo, come è scritto: «L’anima dell’uomo è la lampada di D-o». Con la luce della Torà e la candela della mitzvòt, il nostro popolo illumina il mondo. Il candelabro si innalza con i suoi sette bracci, simboli dei setti approcci al servizio divino. Eppure fu scolpita a partire da un solo blocco di oro massiccio che indica che la pluralità, la varietà in seno al popolo ebraico non diminuisce la sua unità fondamentale e non conduce tassativamente alla divisione; lo sviluppo di una vera unità proviene da una sintesi di slanci e di iniziative di ogni tipo in quanto ognuno è dotato di talenti e di personalità specifiche.

Sforzi indipendenti

Riportando l’ingiunzione di Hashèm a Aharòn di accendere il candelabro, la Torà usa l’espressione «Beha’alotechà Et Haneròt» che significa letteralmente: «Quando farai salire le fiamme ». Rashi spiega che il sacerdote deve appiccare la fiamma allo stoppino «fino a che la fiamma si innalzi da sé» e brilli senza l’aiuto del fiammifero. Ognuna di queste espressioni di Rashi esprime allegoricamente un concetto fondamentale.

La fiamma: ogni persona è potenzialmente “una lampada”. Ma la fiamma realizza questo potenziale producendo una luce irradiante.

«Si innalzi»: non possiamo accontentarci del nostro livello attuale. Occorre sempre cercare di progredire al fine di raggiungere livelli sempre più alti e più completi nel sevizio divino.

«Da sé » : occorre interiorizzare l’influenza dei nostri maestri fino a rendere nostra la loro luce. La conoscenza acquisita deve permettere di “brillare “ in modo autonomo. Non solo, bisogna soprattutto “innalzarsi da sé”, ovvero il desiderio di andare avanti deve intridere la nostra indole, senza l’incoraggiamento e l’essere spronati dagli altri. Parallelamente, nell’insegnare agli altri bisogna prefissarsi l’obiettivo che gli allievi diventino anch’essi una « fiamma che si innalzi da sé », lumi autosufficienti che diffondono la « luce della Torà» nel loro ambiente.

Progredire

Beha’alotechà non è solo l’inizio della parashà, è anche il suo nome: gli insegnamenti che il titolo evoca si applicano alla parashà intera e specialmente dove si descrivono i preparativi e le tappe iniziali del viaggio dei figli di Israele nel deserto. Il Baal Shem Tov afferma al riguardo che queste tappe riflettono quello che ogni individuo raggiunge nella sua vita. Il popolo ebraico non è rimasto ai piedi della montagna dove aveva ricevuto la Torà e costruito il Santuario. Anzi. Li prese con sé e si mise in viaggio attraverso il deserto. Metaforicamente, accendere la luce dell’anima di una persona, che è lo scopo dell’educazione, deve permettergli di trasportare la sua “luce della Torà” nelle sue peregrinazioni. Diffondendo questa luce nel percorso della vita, ogni individuo contribuisce a compiere la missione della vita terrena: stabilire una dimora per Hashèm nel mondo materiale. In quest’ottica, i viaggi del popolo ebraico nel deserto si possono interpretare come allusioni ai suoi viaggi nel corso della storia per assolvere al suo ruolo. La rivelazione della luce avverrà con la venuta del Mashiàch, quando saremo riuniti nell’edificazione del Bet-Hamikdàsh in cui vedremo di nuovo i sacerdoti accendere la Menorà.