Abbiamo la forza di cambiare la nostra vita o siamo destinati ad ottemperare perennemente ai diktat della nostra società? Oggi, in balia delle ascendenze esercitate da tutte le parti, subiamo costantemente pressioni cui è difficile sottrarsi: l’influenza dei nostri compagni di scuola e d’università, il bombardamento quotidiano dei mass media, gli influssi, quand’anche più raffinati, della letteratura, dell’arte, dell’architettura e via dicendo. Tutto ciò costituisce un insieme di forze che agiscono sul nostro animo e intelletto. Di conseguenza, alcuni sociologi avanzano dubbi sulla nostra attitudine ad avere una prospettiva indipendente su qualsivoglia argomento e aspetto della vita.

Un esempio di una persona che manifestò la sua autosufficienza, seguendo la volontà divina anziché le sollecitazioni della sua gente, appare nella parashà di questa settimana. Trattasi di Rivkà-Rebecca, la moglie di Yitzchàk-Isacco, la seconda delle quattro matriarche del popolo ebraico. L’abbiamo già incontrata nella parashà precedente, Chayé Sarà, dove aveva imposto la sua determinazione a lasciare la casa paterna per vivere lontana e diventare la moglie di Yitzchàk. Non era un semplice impulso giovanile che la spinse a voler intraprendere un viaggio per svagarsi o divertirsi in luoghi sconosciuti e attraenti, era ben altro. Rivkà era nata in una società idolatra. Tutti, nel suo mondo, compresa la famiglia e la cerchia di amici e conoscenti, praticavano il paganesimo e credevano nelle forze naturali che, talvolta, servivano in modo abominevole. Suo prozio Avrahàm-Abramo era noto per il suo rifiuto dell’idolatria e per la sua fede in un unico D-o. Ma egli viveva lontano, in terra di Canaan.

Come fa presente Rashi, nonostante il suo background, era riuscita a palesare e a mantenere una veduta d’idee personale e indipendente sulla vita: Sebbene fosse figlia di un uomo vile, sorella di uomo vile, concittadina di uomini altrettanto vili, non aveva assorbito niente dei loro misfatti. Così, quando il fedele assistente di Avrahàm era venuto a cercare moglie per Yitzchàk, ella colse l’occasione al volo per aggregarsi a quella famiglia di monoteisti. Nonostante le reticenze e i tentennamenti dei genitori, ella insistette per andarsene.

Nella parashà Toldòt, si osserva un altro aspetto della sua libertà di pensiero. In un racconto personale e denotativo, si legge che elle subì anni di sterilità seguiti da una gravidanza dolorosa che culminò con la nascita di gemelli completamente opposti: Ya’acòv e Esàv. E, sebbene serbasse un amore e un rispetto illimitati nei confronti del marito, ebbe il coraggio di agire attenendosi alla profezia che le fu rivelata riguardo al futuro dei figli.

Questa profezia, accompagnata dal suo approccio pragmatico alla vita, la condusse a decidere che doveva essere Ya’acòv, e non Esàv, a ricevere la benedizione del padre. La parashà riferisce cosa escogitò per riuscire nel suo progetto. Una della lezioni che la Torà ci impartisce riguardo a Rivkà è l’importanza della forza di carattere. Ella seppe battersi per ciò che credeva giusto, compromettendo la sua felicità e l’armonia familiare. Così, assicurò la fondazione del popolo ebraico, i Figli di Ya’acòv (Israèl).

Rav Naftali Loewenthal