La nostra parashà ci racconta della benedizioni che Itzchak diede a suo figlio Ya’acòv (Giacobbe). Queste benedizioni Ya’acòv non poteva riceverle in maniera normale, ma dovette aggiudicarsele con astuzia, quando fece credere a suo padre (non vedente) di essere Esav (Esaù). Perché mai Ya’acòv dovette ingannare il proprio padre per ricevere queste benedizioni?

Un altro problema che sorge leggendo la parashà, è relativo al fatto di quando Ya’acòv dice alla madre Rivkà (Rebecca) di aver paura che il padre si accorga dell’inganno e quindi che invece di benedirlo gli dia delle maledizioni. La madre gli risponde: “La tua maledizione sarà su di me, figlio mio”: che risposta sarebbe questa? Ogni figlio, e in modo particolare Ya’acòv, si preoccupa del bene della propria madre. Come può Ya’acòv accettare che sua madre riceva una maledizione?

Una delle spiegazioni è che Ya’acòv assomigliava ad Adamo, e il suo scopo era quello di rimediare al peccato commesso da Adamo.

Il peccato dell’albero della sapienza (Etz Hadaat) era stato causato da un inganno, quello del serpente che riuscì a ingannare in modo astuto Chavà (Eva).

Per questo motivo, il rimedio a questo peccato doveva anche venire con l’inganno e l’astuzia, con l’assicurarsi con furbizia di avere le benedizioni ed evitare che queste fossero date ad Esav.

Quando Adam peccò, egli provocò una discesa della luce di D-o nell’impurità (nelle Kelipòt). Non era possibile far uscire le luci (rivelazioni) da quest’impurità se non con l’inganno e la furbizia, poiché l’impurità sta attenta a custodire questa luce affinché non venga riportata alla sua fonte. Ingannando però l’impurità (le Kelipòt) è possibile raggirarla e redimere questa luce sacra.

Vi sono situazioni problematiche che si possono risolvere in maniera ordinaria e razionale. A volte però, per ottenere qualcosa, non basta agire in modo coerente, ma si devono oltrepassare i limiti della propria mente, ed essere pronti a tutto.

Questo è ciò che ha detto Rivkà a suo figlio: devi essere pronto a tutto pur di redimere questa luce che si trova nell’impurità, anche a ricevere delle maledizioni.

Ya’acòv temeva però di fallire nella sua importante missione, correndo un grosso pericolo. Sua madre quindi gli mostrò che, per una causa importante come questa, si deve essere pronti a correre il rischio, mostrandogli un esempio e accettando su di sé le maledizioni, come se gli avesse detto: “Guarda figlio mio, come io sono disposta a correre il rischio di prendermi una maledizione: impara anche tu ad agire senza prendere in considerazione il rischio che corri, con devozione completa”.

Questo modo di agire di Ya’acòv è un insegnamento per noi, suoi discendenti. Per raggiungere lo scopo per il quale siamo stati messi al mondo, quello di adempiere alla Torà e alle mitzvòt, a volte dobbiamo agire al di sopra della nostra coerenza e razionalità. Per servire D-o, una persona non deve permettere ai propri limiti di ostacolarla, ma deve agire con devozione assoluta, pur correndo grandi rischi.

(Likutè Sichòt vol.1 pg.55)