Fu riferito al re dell’Egitto che il popolo era fuggito e si cambiò la disposizione d’animo di Faraone e dei suoi servi nei riguardi del popolo e dissero: «Quale errore abbiamo commesso lasciando andare Israele dall’essere nostro schiavo!» (Esodo 14, 5-6).
“E attaccò il suo cocchio”: egli stesso attaccò il suo cocchio. Di norma i re non compiono determinate azioni, lasciando ai loro servi l’incarico di preparare ciò che occorre per il carro, attaccare il cocchio e altro, però il malvagio faraone lo fa questa volta con le proprie mani.
Quando i nobili del regno lo videro, anche essi lo imitarono.
Quattro persone prepararono il loro cocchi con gioia:
Abramo attaccò il suo cocchio con gioia, come è detto: Si alzò Abramo al mattino e sellò il suo asino (Genesi 22:3). Non aveva forse dei servi che lo potessero servire? Ma egli fece ciò per amore di D-o.
Giuseppe attaccò il suo cocchio con gioia, come è detto: Attaccò la sua carrozza (Genesi 46:29). Attaccò la sua carrozza: non aveva forse tanti servi? Ma lo fece in onore di suo padre.
Bil’am attaccò il suo cocchio con gioia, come è detto: E Bil’am si alzò al mattino e sellò la sua asina (Numeri 14:6).
Faraone attaccò il suo cocchio con gioia, come è detto: E attaccò il suo cocchio (Esodo 14:6).
Venga la sellatura di Abramo, che partì per adempiere alla volontà del Creatore, per contrapporsi alla sellatura di Bil’am che andò per maledire (D-o ce ne guardi) il popolo di Israel; venga l’atto dell’attaccare l’animale al carro da parte di Yosef per contrapporsi a quello del faraone, che andò per inseguire Israel. (Mechilta, Beshalach).
Nel passo biblico presentato interessa innanzitutto un problema esegetico: attaccò il suo cocchio. Secondo i commentatori del peshat, l’interpretazione letterale del testo, qui l’espressione è da intendersi nel senso che l’azione non è stata eseguita personalmente dal faraone, che pure l’ha progettata e ne ha comandato l’esecuzione, ma è stata realizzata dai suoi servi. È proprio dello stile biblico esprimersi così.
A sostegno di tale tesi è portato il versetto riguardante Salomone: E costruì Salomone la Casa del Signore, in cui bisogna intendere che egli ne sia stato solo il promotore, mentre la realizzazione pratica è stata compiuta dai suoi lavoratori.
L’altro filone sostiene invece, ed è così anche secondo il midrash, che si tratti di un’eccezione: è il faraone in persona che compie l’azione pratica.
In questa occasione, come spesso accade, quella che è considerata una spiegazione artificiosa in realtà indaga il versetto con maggiore profondità e acutezza rispetto alla così detta interpretazione letterale.
Secondo il peshat, il livello d’interpretazione letterale delle Scritture – il faraone ha dato solo l’ordine di attaccare il suo carro – la Torà ci racconta un particolare irrilevante e superfluo – la Torà stessa nel versetto successivo, (14, 7) racconta come egli prese con sé 600 guerrieri, da ciò necessariamente si deduce che certo fece attaccare anche il suo carro – cosa che non è nel suo stile e quindi, se lo ha raccontato, una ragione ci deve essere.
L’opinione del midrash è che qui ci troviamo di fronte a una situazione particolare: il faraone doveva convincere il popolo, che era stato colpito dalle dieci piaghe a causa degli ebrei, a muovere contro di loro e non aveva altri mezzi validi se non l’esempio personale.
La spiegazione data dal midrash tiene conto, quindi, della realtà di tutto il contesto e non si limita al particolare.
Il midrash, come è sua consuetudine, una volta appianata la difficoltà, allarga il discorso, facendo alcuni confronti che hanno valore simbolico.
Secondo il midrash ogni buona azione compiuta non resta senza frutto, bensì perdura nel tempo e, prima o poi, sopprimerà l’azione malvagia, come nel caso in cui l’azione di Abramo viene ad annullare l’azione di Bil’am, anche se quest’ultimo visse tanti anni dopo.
Come semi che sono gettati al vento, e che al momento opportuno daranno i loro frutti, così il bene prima o poi darà il suo contributo positivo.
L’ordine dei personaggi citati dal midrash non è casuale, così come non l’ è l’accoppiamento.
Cronologicamente dovremmo avere:
Abramo, Giuseppe, Faraone, Bil’am.
Nel midrash invece abbiamo: Abramo, Giuseppe, Bil’am, Faraone.
Tale ordine deriva da un motivo stilistico: infatti per Abramo e Bil’am è usato il verbo chavash, sellare, dato che entrambi usano l’asino.
Viceversa per Giuseppe – Faraone, leggiamo il verbo asar, legare al carro, dal momento che essi usano la carrozza.
Notiamo come prima vengono i personaggi del bene, Abramo e Giuseppe, poi quelli del male: Bil’am e Faraone.
Ciò è logico per il midrash, in quanto afferma che il bene prevarrà sul male: per questo il bene è presentato prima (anche cronologicamente l’azione benevola viene prima, poiché sia Abramo sia Giuseppe vissero precedentemente) quasi a significare che il bene può agire come farmaco preventivo che annulla in anticipo il male che potrebbe venire.
Tale idea deriva anche da un accorgimento letterario biblico: infatti per Abramo è scritto: si alzò presto il mattino, mentre per Bil’am: si alzò al mattino, da cui si deduce che Abramo si è alzato prima di Bil’am, quindi lo ha preceduto e ha fatto in modo che la sua azione volta al bene sconfiggesse e prevenisse l’azione malvagia di Bil’am.
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