“E Miriàm la profetessa... prese il tamburello in mano e tutte le donne la seguirono con tamburelli e balli. E Miriam le chiamò: Cantate per D-o (Esodo 15, 20-21)”.

Il canto è una preghiera. È altresì l’impegno ad elevarci al di sopra delle grettezze della vita e a riavvicinarci alle radici. Il Midràsh riporta dieci momenti significativi nella storia d’Israele marcati da inni di lodi: il primo risuonò nella notte in cui gli israeliti furono liberati dall’'Egitto (Isaia 30,29), seguito dal Cantico del Mare (Esodo 15,1-21).

La serie si conclude con il celebre Shir Hashirìm - Cantico dei Cantici composto dal Re Salomone. Il decimo, prosegue il Midràsh, si chiamerà Shir Chadàsh - Canto Nuovo e sarà emesso in onore della Salvezza definitiva, la Gheulà che cancellerà per l’eternità le sofferenze e l’odio dalla faccia della terra, quindi degna di una melodia nuova.

Il Canto del Mare, dopo il passaggio del Yam Suf - Mar Rosso, occupa certamente uno spazio preponderante: esso viene recitato ogni giorno nella preghiera mattutina ed è letto in pubblico due volte all’anno, a Pesach e a Shabbàt Shirà. Questo inno riveste due caratteri, uno femminile e uno maschile. Gli uomini lodarono accoratamente Hashèm, grati della Sua misericordia. Indubbiamente. Ma mancava qualcosa. Un aspetto che solo la dimensione femminile poteva apportare. E che solo Miriàm, sorella maggiore di Mosè, testimone di tutte le pene patite dal suo popolo in Egitto, era in grado di esprimere. Solo lei, tramite quella viscerale sensibilità materna (e fraterna), vide e toccò concretamente la reale crudeltà dell’esilio.

Questa donna nascosta dallo spessore dei canneti, che sorveglia la culla di Mosè galleggiante sul Nilo, ritenendosi responsabile di quel lattante come, peraltro, di tutti gli altri, fiduciosa nella Liberazione, perseverante nell’incitare i suoi prossimi a procreare e a non abbattersi nonostante l’afflizione della schiavitù, evoca l’immagine di un’altra matriarca, discreta e mite ma significativa: Rachele.

Il profeta Geremia dichiarò che Rachele, nel suo solitario sepolcro a Bet Lechem (Betlemme), versa costantemente amare lacrime per il martirio dei suoi figli. È lei, ancor più dei patriarchi, a provare un lancinante dolore per il suo popolo. L’intensità dei sentimenti femminili nonchè la loro forza e tenacia conducono, al termine delle angustie, ad una gioia altrettanto immensa.

Per tale ragione, si enfatizzano nelle Scritture i balli e i canti di Miriàm e delle sue sorelle. Rav Yitzchak Luria ( l’Ari Zal) rivelò che la generazione della redenzione sarà la reincarnazione della generazone che uscì dall’Egitto. E oggi, pronti a varcare la soglia della Liberazione, sono di nuovo le donne, animate da una fede irremovibile, a condurre la melodia della Redenzione.