Secondo una credenza molto diffusa, la creatività artistica può esprimersi pienamente solo in condizioni di libertà assoluta; le inibizioni, invece, la soffocano. La storia ha dimostrato il contrario: l’oppressione ha sempre spinto l’umanità a creazioni dense di profondità. Ridurre un paesaggio ad una superficie bidimensionale trasforma un semplice disegno in una grande opera artistica, esporre un’idea o un sentimento in un numero limitato di parole genera poesie di gran valore. L’essenza dell’arte nasce dalla tensione esistente tra l’animo dell’artista e la limitatezza dei mezzi.
L’esilio. “A causa dei nostri peccati”, pronunciamo nella Tefillà di Mussaf dei giorni festivi, “siamo stati esiliati dalla nostra terra [...] non possiamo più salire per farci vedere ed inclinarci innanzi a Te, ed adempiere ai nostri obblighi davanti alla Tua dimora eletta, nella grande e santa dimora sulla quale il Tuo nome è chiamato”. I 613 comandamenti connettono il comune mortale al Creatore.
Tuttavia, a causa del galùt (esilio) e della mancanza del Bet Hamikdàsh (il Tempio di Gerusalemme), attualmente molti dei precetti sono semplicemete vietati o impossibili da praticare; di conseguenza, non disponiamo più di tutti gli strumenti necessari ad unirci con Hashem. Da questa situazione nasce la nostra frustrazione. Ciònonstante, queste mitzvòt non sono state abolite, nè sono da considerare obsolete e scadute. Esse mantengono la loro forza sebbene le circostanze dell’esilio ci impediscano di applicarle. “Una regola chiaramente definita dalla Torà quale mitzvà dura in eterno e non sarà mai cambiata, annulata o completata”, riferisce il Rambàm basandosi su un principio fondamentale ebraico.
La poesia della preghiera. Il Talmud (Pessachim 86b) cita una regola interessante riguardo al rapporto tra l'ospite ed il padrone di casa: “Ubbidisci a tutto quanto richiesto dal padrone di casa, ma non se questi ti chiede di uscire da casa sua”. La chassidùt applica questo esempio alla sfera dei rapporti tra gli uomini: quali invitati da Hashem su questa terra dobbiamo ottemperare a tutte le Sue disposizioni, eccetto quando ci viene impartito l’ordine di uscire. Tale situazione scaturisce le opere più creative per riconnetterci a Lui. Il profeta Hoshèa dichiarò (14:3): “Le nostre labbra realizzano quanto era eseguito dai buoi”. In epoca odierna, l’aspetto dei precetti non è solo spirituale ma anche fisico: il movimento delle labbra e delle corde vocali mentre preghiamo agevola la fusione con il Creatore. L’allontanamento e la tristezza risvegliano il nostro estro artistisco per merito del quale siamo in grado di comporre Tefillòt dalla massima espressività poetica ed estetica. Al fine di risolvere problemi avvilenti, l’uomo è per natura incline ad attingere da qualsiasi forza interiore e così scopre di possedere talenti straordinari di cui ignorava l’esistenza.
Respingere i limiti. Ogni giorno imploriamo il Sign-re di liberare le nostre vite dalle catene del galùt che ci costringe ad un perenne conflitto interiore. Queste battaglie, tipiche dei periodi disperati, rivestono un carattere particolare perché spinte appunto dallo sconforto, ed il potenziale rivelato dalle nostre anime in questi momenti è unico. Senza oltrepassare i limiti, siamo autorizzati a contestare la volontà di D-o qualora essa ci impedisse di progredire nel cammino che ci ricongiunge proprio a Lui. Questo atteggiamento consente le realizzazioni più esaurienti e innovatrici dell'arte divina della vita.
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