In altri tempi l’uomo era alto. Le stelle erano piccole luci appese al cielo che era una specie di tetto blu, sospeso a centinaia di chilometri. La terra aveva all’incirca il quarto della dimensione che ha oggi. L’uomo era poco consapevole dell’esistenza delle qualche altre centinaia di migliaia di esseri umani (il numero “milione” non esisteva neanche nel vocabolario). Era sicuramente l’elemento più essenziale del mondo: le pietre non erano altro che pietre; e gli animali solo animali. Era ovvio che egli stesse in cima alla creazione e che tutto il resto non esisteva se non per soddisfare le proprie necessità. Nel corso dei secoli l’uomo si è ristretto. Ora, il mondo era più grande. Poco a poco c’era tanta altra gente e altre specie animali che sminuivano il suo valore. Allo stesso tempo, il globo si rimpiccioliva sempre di più fino ad assumere la dimensione di un puntino infinitesimo di un universo di schiacciante immensità.

Ma l’uomo è rimasto umile? Siamo diventati meno boriosi e pieni di noi stessi? È interessante notare che il ridimensionamento dell’uomo ebbe l’effetto diametralmente opposto. La dedizione e il sacrificio si trasformarono in “debolezze umane”. La presunzione, un tempo ritenuto un grave peccato, diventò segno di buona salute mentale. La gente cominciava a domandarsi se l’avidità fosse davvero inferiore alla virtù, fino a che divenne veramente una virtù e ciò mise un termine alla discussione. Ma come mai più ci rendiamo conto della nostra insignificanza e più siamo egoisti?


Ciò non significa che colui che si considera il centro del creato non sia soggetto all’egoismo e all’autocelebrazione. E il sentimento di insignificanza può altresì essere correlato da comportamenti altruisti. Il fatto è che il sentimento di irrilevanza non rende per forza una persona modesta. E l’autostima è in grado di condurre sia all’arroganza che all’umiltà, tutto dipende da come la persona percepisce il proprio valore.

Rabbi Shneur Zalman di Lyadi spiega che questa differenza è come quella che c’è tra due Alef. Nel versetto che apre il Libro delle Cronache, il nome “Adàm” è scritto con un’Alef abnorme. Nel primo versetto del Levitico, la parola Vaykrà, che si riferisce ad Hashèm che chiama Mosè, termina con un’Alef molto piccola. Adàm e Moshè erano entrambi grandi uomini, pienamente consci della loro importanza. Adàm era l’opera di D-o plasmata “a immagine divina”. La percezione di sé come corona della creazione divina lo condusse alla sua caduta quando capì che ciò implicava che niente era al di fuori della sua capacità di giudizio.

Moshè, invece, sapeva che fra tutte le creature di D-o, lui era l’unica alla quale Egli si rivolgeva “faccia a faccia”. Solo a lui e tramite lui D-o comunicava la Sua saggezza e la Sua volontà al resto del mondo. Ma questa coscienza, anziché suscitare in lui l’Alef smisurato di Adàm, stimolò in lui la minuscola Alef di Vayikrà. Moshè si sentiva piccolo in confronto alle sue doti, egli si rendeva umile dall’immane responsabilità di esserne all’altezza. Come attesta la Torà: “Moshè era l’uomo più umile sulla faccia della Terra”. Non malgrado la sua grandezza, ma proprio grazie ad essa.


L’uomo di una volta era sia benedetto che maledetto dall’evidenza della sua grandezza. L’uomo moderno è al contempo benedetto e maledetto dalla sua palese e crescente piccolezza. La sfida che ci viene offerta è di usufruire delle due benedizioni: associare alla nostra piccolezza la coscienza di quanto possiamo crescere, ovvero diventare modestamente grandi, che è la più alta espressione di umiltà.

Da una più attenta lettura si può capire che questo non è un paradosso. La persona che si considera il fulcro della creazione, elemento centrale del grande Disegno Divino, è spinta a svolgere il suo ruolo e a realizzare questo obiettivo; colui che crede che ogni creazione esiste in funzione di se stesso è certo che questa serva uno scopo che trascende la sua semplice esistenza. Di contro, se l’uomo si reputasse insignificante, non adempierebbe alla sua eccelsa mansione. “Non sono nulla” è un modo diverso di affermare: “Niente esiste eccetto me”.

Di Rav Yanki Tauber, per gentile concessione di Chabad.org