Il Libro del Levitico comincia con l’entrata maestosa di Moshè nel Mishkàn. “VayikràD-o chiamò” Mosè e lo invitò nella Tenda della Radunanza. In un momento così elevato, Moshè ricevette questo onore con assoluta umiltà e, per questo motivo, la lettera àlef della paraola vayikrà è più piccola rispetto alle altre lettere.

Un interessante Midràsh descrive l’evento. Quando D-o parlò a Moshè attraverso il roveto ardente (Esodo cap. 3), egli tentò di nascondersi ma D-o gli disse: “Vai, e ti manderò dal Faraone”, come a dire, “se non vai tu a liberare i figli d’Israèl, non andrà nessun altro”. Presso il Mar Rosso Mosè si fece da parte, ma D-o disse:”Alza la tua verga e separa il mare”, come a dire, “se non lo fai tu, non lo farà nessun altro”. Al Monte Sinai Moshè tentò ancora di mettersi da parte, e D-o gli ordinò: “Sali verso D-o”, come a dire, se non sali tu, non potrà salire nessun altro”. Presso la Tenda della Radunanza, Mosè si mise ancora una volta in disparte, e D-o alla fine gli disse: “Per quanto tempo ancora ti vuoi diminuire? Questo momento aspetta solo te!” A questo punto, D-o lo chiamò – vayikrà. Fra tutti quelli che poteva convocare, convocò solo Moshè. (Vayikrà Rabbà 1:5)

Così Piccola e Così Grande

Rabbi Akivà insegnò: le ventidue lettere dell’alfabeto ebraico con cui è stata scritta la Torà furono incise con una penna di fuoco sul temibile Trono del Santo, Benedetto Egli sia. Quando D-o deliberò di creare il mondo, tutte le lettere apparvero di fronte a Lui, ciascuna adducendo una buona ragione per essere la prima con cui il mondo poteva essere creato. La tav apparve per prima davanti a D-o, e poi via via tutte le altre; D-o rifiutò una dopo l’altra le loro argomentazioni, fino a che si avvicinò la beit, che chiese che il mondo venisse creato con essa poiché è la prima lettera dell’espressione Barùch HashèmBenedetto Sia il Sign-re. D-o accettò la sua richiesta e cominciò la creazione con la parola bereshìt – all’inizio, che inizia con una beit. Per tutto questo tempo la àlef stette in disparte in silenzio, e D-o le chiese: “Alef, perché resti in silenzio? L’àlef rispose: “Non ho nessun’argomentazione abbastanza forte per rivolgermi a Te. Il valore numerico delle altre lettere è grande, il mio è molto piccolo: la beit è due, la ghimel è tre e così via. Il mio numero è soltanto l’uno”. Allora D-o rispose: “Alef, non temere, il tuo posto è al di sopra di tutte loro. Tu sei uno, e così sono Io, e così è la Torà che darò al mio popolo, Israèl, cominciando con la àlef, com’è scritto ‘Anochì – Io sono il Sign-re tuo D-o’ ”, che comincia con una àlef. (Yalkùt Shimoni, Bereshìt 1).

Ne risulta che chi fugge dall’onore ne viene alla fine coronato, e chi lo insegue non lo raggiungerà mai. In quanto prima lettera dell’alfabeto, la àlef avrebbe potuto far valere il suo diritto, ma non lo fece. Non vedeva la sua grandezza ma solo la sua inadeguatezza e, come risultato, fu scelta come prima lettera dei Dieci Comandamenti. Anche Moshé, in quanto capo e guida del popolo, avrebbe potuto chiedere di entrare nel Tabernacolo, ma non lo fece, anzi, esitò. La sua umiltà era anche la sua grandezza e in virtù di essa fu convocato ad entrare nel Mishkàn.

Intimità

A Mosè, però, non venne permesso di entrarvi appena esso fu eretto (Esodo 40:35). La mistica ebraica spiega che Moshé è da rapportarsi al Santuario come uno sposo si rapporta alla sua sposa. È scritto infatti che “portarono il Mishkàn a Moshè” (Esodo 39:33) e lo Zòhar (2:35a) spiega che in quel momento il Tabernacolo era come una sposa che viene portata al suo sposo. A Mosè non fu permesso entrare nel Mishkàn in quei primi momenti perché esso si stava ancora preparando per l’incontro con lui, e lo sposo non è invitato a guardare la sposa mentre ella si abbellisce per lui. Entrare prima che abbia finito è una violazione del suo spazio e della sua persona, e la priverebbe dell’opportunità di mostrare allo sposo tutto il suo amore e tutta la sua bellezza.

Appena il Tabernacolo fu completato, D-o voleva restare solo con Se stesso prima di concederSi agli uomini. Alla fine Moshè fu invitato ad entrare per la sua umiltà. Egli non lo sentiva come un suo diritto, e con questo ci ha insegnato ad amare senza aspettative, senza pretese e senza calcoli.

Di Lazer Gurkow, per concessione di chabad.org