Facciamo i calcoli: quattro uomini e quattro donne, Noach-Noè, sua moglie, i tre figli e rispettive mogli, responsabili di apportare le cure e le attenzioni adeguate ai due rappresentanti di ogni specie animale esistente a quell’epoca. Stando ai dati forniti dagli ambientalisti, ogni anno migliaia di specie di esseri viventi – mammiferi, uccelli, insetti – si estinguono. Se proviamo ad immaginare di quante specie Noè e i suoi dovettero occuparsi, la cosa sembra quasi impossibile.


I giorni trascorsi a bordo dell’Arca non erano proprio paragonabili ad una crociera.Nonostante il dolore e la frustrazione naturali che provarono mentre assistevano alla distruzione del loro mondo e alla morte di amici e familiari, l’intera famiglia consacrὸ ogni istante del suo viaggio a prodigarsi per il loro serraglio galleggiante. Il ritmo e la mole di lavoro erano forsennati e infiniti, al punto che la tradizione talmudica riferisce che Noach finì la spedizione malandato e sputando sangue”. E oltre al danno la beffa: fu storpiato dopo essere stato aggredito dal leone, infuriato di aver fame quando Noach ebbe un po’ di ritardo nel servirgli il pasto.


È una triste deficienza del mondo di oggi: troppo spesso le anime generose, disinteressate e dedite agli altri, pagano un prezzo troppo alto per la loro bontà e spesso vengono ripagate con insulti proprio dalle persone che hanno aiutato. Sotto molti aspetti, la nostra generazione post-Olocausto presenta similitudini schiaccianti con la famiglia di Noach dopo il mabùl-Diluvio Universale. Anche noi siamo dei sopravvissuti, un pietoso residuo di un mondo estinto.


Potremmo essere tentati ad alzare le braccia dallo scoraggiamento, a rifiutare di partecipare alla ricostruzione di un mondo nel quale certe ingiustizie e certe iniquità sono insopportabili. Ma questo tipo di reazione sarebbe vergognoso nei confronti della gratitudine che dovremmo manifestare per essere stati risparmiati dall’eccidio e costituirebbe altresì un insulto alla memoria di coloro che sono stati crudelmente uccisi. Tocca a noi prenderci carico del serviziotendere la mano agli altri e adoperarci ad elargire il massimo e il meglio al fine di nutrire e soddisfare le necessità spirituali, emotive ed economiche del prossimo. Assolvere a questo ruolo puὸ risultare un'impresa più che ardua poiché si rischia di subire delusioni e danni personali nello svolgere questa sacra missione. Tuttavia, mai dovremmo rassegnarci ed esimerci dai nostri impegni. Attualmente c’è tanta povertà, gente affamata da nutrire, gente discinta da vestire e gente ignorante da istruire. Non possiamo sederci sugli allori, sostare o riposarci finché non avremo versato fino all’ultima goccia di sudore e finché la nostra arca non sarà ormeggiata al sicuro sulle vette della Storia.

Di Rav Elisha Greenbaum, per gentile concessione di Chabad.org. Traduzione di Myriam Bentolila