La parashà di questa settimana tratta della famosa delegazione inviata in avanscoperta da Moshè in Terra Santa al fine di esplorarla e di ritornare nel deserto con un resoconto da presentare a tutto il popolo.

“E Calèv fece tacere il popolo nei confronti di Moshè (Numeri13:30). Esclamò “È tutto qui ciò che il figlio di Amràm ha fatto per noi?” Il popolo, che serbava un certo livore nei confronti di Moshè, credette che Calèv aveva dato inizio ad un discorso accusatorio nei suoi confronti e quindi tacque, ma fu presto deluso, in quanto Calèv continuò in questi termini: “Non ha forse egli diviso il Mar Rosso per noi? Non ha forse egli fatto scendere la Manna per noi? Non ha forse richiesto le quaglie per noi?”

Tutti noi abbiamo sempre sognato un mondo perfetto e sappiamo che con l’era messianica questo sarà possibile. Gli sforzi accumulati attraverso le generazioni sfoceranno in quest’epoca rivoluzionaria. Come possiamo noi essere umani, consapevoli delle nostre incompletezze e contemporaneamente ben consci del fatto che la Promessa Divina riguardo alla venuta del Mashiàch sarà rispettata, decidere di considerare che ci sarà impossibile eseguire quanto richiesto da Hashèm al fine di meritare quanto sopra, solo perchè ci riteniamo incapaci? O per meglio dire, solo perchè siamo in realtà svogliati e poco fiduciosi?

Fummo già confrontati con questo dilemma più 3300 anni fa. L’esodo dall’Egitto risaliva ad un anno prima. Diventammo una nazione e cinquanta giorni dopo, con la Rivelazione sul Sinai, ci fu affidata la Torà. L’unico elemento mancante era la Terra. Allorchè eravamo accampati a Kadèsh, poco distanti dalla terra di Canaan, anche questa lacuna sarebbe stata imminentemente colmata. Ma eravamo scettici quanto alla riuscita dell’impresa, vista la debolezza dei nostri mezzi militari, e quindi ci rivolgemmo a Moshè: “Lasciaci inviare degli uomini affinchè esplorino per noi la Terra e ci riportino le informazioni che ci indicheranno quale via intraprendere e da quali città entrare”. Dopo aver consultato il Sign-re, Moshè accolse la loro istanza e dodici uomini furono incaricati di tale incombenza, ognuno di essi rappresentava una tribù.

Quaranta giorni dopo, l’8 del mese di Av, essi fecero ritorno con il seguente rapporto: “Siamo arrivati nella Terra in cui ci hai mandati e davvero vi colano latte e miele; ecco qui i suoi frutti. Ma il popolo che la occupa è forte e le sue città sono circondate da imponenti fortificazioni; vi abbiamo persino visto dei giganti. Gli Amalechiti risiedono nel Neghev; gli Ittiti, gli Ievusiti e gli Amoriti vivono sulle colline e i Canaaniti sono stabiliti sulle rive del mare e sulle quelle del Giordano.”

A quel punto Calèv, il rappresentante della tribù di Yehudà, anticipando l’impatto disastroso che quelle parole avrebbero avuto sulla sua gente, già moralmente indebolita, irruppe con fervore: “Saliamo e occupiamo la Terra, perché ne siamo capaci!” Ma il popolo era già avvilito dal resconto scoraggiante degli altri esploratori e tutta la notte pianse e si autocommiserò e si lamentò del proprio destino interpellando Moshè e Aharòn: “Perchè D-o ci conduce verso questa Terra dove periremo sotto le spade e le nostre donne e i nostri figli saranno imprigionati?” A causa della sua mancanza di fede e il suo rifiuto di entrare in Terra Santa, tutta quella generazione (eccetto Calèv e Yéhoshua - Giosuè) morì nel deserto, fino a che, 38 anni dopo, una nuova generazione riprese la fiaccola. Il popolo si era semplicemente arreso alla paura dell’ignoto.

Nonostante la reticenza degli israeliti, Calèv perorò la causa a favore sia di Moshè, sia della Terra nonchè, naturalmente, del Signore. Rammentò loro tutta la magnanimità prodigata da Hashèm elencando punto per punto tutti i miracoli compiuti tramite Moshè: “Anche in quei momenti eravate tutti in preda al panico: prima di attraversare il Mar Rosso, quando eravate senza cibo nel deserto, eppure, il miracolo accadde. Guardate la Manna, osservate quanto misericordioso è il Signore con noi! Come potete mettere in dubbio l’Intervento Divino quando ci accingeremo a varcare la soglia della nostra futura patria?” Tacquero tutti, riconoscendo la pertinenza degli argomenti esposti da Calèv. Nonostante ciò, persistettero nel peccato e rifiutarono la proposta di Hashèm.

Quale insegnamento possiamo trarre in epoca attuale dalle vicende qui sopra evocate? Oggi come allora temiamo di passare dal noto all’ignoto e ci rifiutiamo di fare il decisivo salto in avanti, sostenendo di non possedere i requisiti che ci rendono degni della Redenzione. È più facile rassegnarsi e infingardirsi, la vita è più comoda così. Ma ricordiamoci: siamo figli d’Israele, la nazione con una coscienza storica ineccepibile! La scelta è nelle nostre mani. Niente resiste davanti alla forza della volontà! Siamo in grado di sormontare ostacoli, a priori invalicabili, e di vincere trionfalmente. Adoperiamoci quindi a far venire Mashiàch!