Se H-shèm lo richiede, è possibile

Manda degli uomini ad esplorare (13, 2)

L’insediamento dei figli di Israèl nella terra promessa è simbolo dell’operato spirituale dell’ebreo in questo mondo.

L’anima dell’ebreo scende dal cielo al fine di colmare di santità il mondo materiale, rendendolo una dimora per la luce divina. Questo era anche lo scopo dell’insediamento degli ebrei in Eretz Israèl: trasformare la terra di Kenà’an in terra di Israèl, dove la santità divina fosse percettibile e manifesta.

Quale preparazione a questo processo è necessario dapprima intraprendere la fase del manda degli uomini, con cui si apre la parashà di Shelàkh. La vicenda degli esploratori, tema centrale dell’inizio della parashà, è portarice di un messaggio e di un insegnamento valido per la vita di ciascun ebreo – sia nella missione stessa che nel suo fallimento.

Osservare e meditare

Innanzitutto, è necessario meditare sul carattere della mitzvà che ci si appresta a compiere1 e ricercare il modo migliore per portarla a termine.

Questo era anche il fondo della missione degli esploratori: Moshé li mandò affinché trovassero la maniera più naturale, corretta ed efficace di conquistare il paese.

L’uomo potrebbe pensare che avendogli H-shèm ordinato di compiere un determinata mitzvà, egli debba cessare di pensare e di esaminare la realtà naturale, agendo invece ad occhi chiusi, ad ogni costo.

La missione degli esploratori insegna che non è possibile accontentarsi della fede in H-shèm; l’uomo deve sempre andare in cercare della maniera giusta per eseguire la Sua volontà, in quanto Egli desidera che le mitzvòt siano compiute entro i limiti del mondo e nell’ambito della natura.

Senza conclusioni

D’altro lato, la vicenda degli esploratori insegna anche che neppure l’altro estremo è corretto. L’errore degli esploratori consisteva nel fatto che essi ritenessero che insieme al compito di esaminare il paese e della maniera in cui conquistarlo naturalmente, fosse loro stata conferita anche l’autorità di stabilire se fosse il caso o meno di entrare in Eretz Israèl.

Fu in questo punto che si celava il loro grave peccato: Moshé li aveva mandati esclusivamente affinché valutassero quale fosse il modo più facile per conquistare il paese; essi tuttavia pensavano di esser stati mandati per giungere a conclusioni, quali appunto quella per cui non sarebbero stati in grado di andare in Eretz Israèl, essendo la sua popolazione più forte di loro o di H-shèm Stesso2.

Così facendo, agirono contro la volontà di H-shèm e diedero prova di fede carente, poiché quando H-shèm assegna a una persona un compito, essa può indubbiamente portarlo a termine. Se poi sarà necessario un miracolo, esso si verificherà.

La bontà stessa

Questo è il secondo principio che si deduce dalla vicenda degli esploratori: qualunque sia il compito che H-shèm assegni all’uomo, questi lo può portare a termine, in quanto Egli richiede solo cose che rientrino nelle facoltà della persona3 – essendo Egli l’essenza stessa dell Bontà e della Giustizia.

Tuttavia, pur consapevoli di questa realtà, è necessario tener sempre presente che non si può poggiare sui miracoli4 e si è sempre tenuti a ricercare la maniera in cui compiere la volontà di H-shèm con mezzi naturali.

Con ciò, deve essere chiaro che qualora sorgano difficoltà o impedimenti, l’uomo potrà sempre superarli, proprio come affermarono Yehoshù'a e Calèv: «Certamente saliremo e la conquisteremo, poiché ne saremo indubbiamente in grado!5».