Durante il viaggio degli ebrei attraverso il deserto verso la Terra Promessa non sono mancati i momenti problematici. Forse quello più tragico è stato l’episodio degli esploratori, i meraglìm.
Dopo l’esplorazione di tutta la Terra quasi tutti i rappresentanti delle dodici tribù diedero espressione alle loro impressioni negative di essa, dicendo che gli abitanti fossero troppo potenti, le città fortificate inconquistabili, la terra inospitale, e così via.
La gravità del loro peccato e le conseguenze sono ben note. Il popolo ebraico ha dovuto subire una permanenza di quarant’anni nel deserto, finché non fossero morte tutte le persone della generazione uscita dal Egitto. Come sempre, l’aspetto mistico della Torà ci dà una visione ulteriore, una visione di un mondo unico, un mondo che contiene solo kedushà-santità, spiegandoci che perfino in un luogo del genere esiste la possibilità di peccare, ossia il non seguire la volontà di D-o.
Le fonti mistiche spiegano che gli esploratori e gran parte del popolo volevano rimanere nel “mondo del pensiero” o nel “mondo della parola”.
Che cosa vuol dire questo?
Nel deserto, tutte le esigenze del popolo erano fornite senza richiedere un impegno di lavoro o fatica di alcun tipo.
Il cibo si faceva trovare ogni mattina nella forma della Manna caduta dal cielo, l’acqua era fornita dal “pozzo di Miriam” che, in maniera miracolosa, veniva distribuita in tutto l’accampamento. Anche i loro vestiti, racconta il Midràsh, crescevano con loro, e furono automaticamente lavati e stirati.
Che cosa faceva la gente se non aveva la necessità di lavorare? Si occupavano dello studio della Torà.
Secondo il Midràsh è proprio per questo che la Torà fu data in quell’ambiente colmo di miracoli: in modo che il popolo si occupi solo di Torà e che questo diventi una parte inseparabile della loro esistenza.
Alla luce di questo, possiamo capire la mentalità e il punto di vista degli esploratori.
Essi volevano continuare a vivere in quella situazione utopica. Rimanere nel “mondo della parola” e non entrare nel “mondo dell’azione” dove non c’è scampo dal lavoro e dal materialismo. Pensavano che la Torà non avrebbe potuto sopravvivere in quelle condizioni e in questo stava il loro sbaglio e peccato.
In realtà, il mondo dell’azione e il mondo della parola si fondono per diventare, attraverso il nostro impegno in entrambi i “mondi”, una dimora per il Divino.
Ancora oggi continuiamo ad esserne la prova vivente.
Adattato da rav Shalom Hazan. Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch זי“ע
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