Nella Parashà di questa settimana si svolge la drammatica storia della distruzione di Sodom e le sue città satelliti. Troviamo Avrahàm che supplica il Sign-re di salvare le città per merito dei giusti che
eventualmente ci si potrebbero trovare ma non essendoci i giusti le città vengono distrutte.
Introducendo l’intervento di Avrahàm la Torà dice “Avrahàm si fece avanti” e Rashì spiega che il verbo impiegato dalla Torà (“vayigàsh”) vuol dire che egli era “pronto a tutto: a parlare duramente, alla conciliazione e alla preghiera”.
Per noi che conosciamo Avrahàm come la quintessenza della bontà e dell’amore (come è detto “Avrahàm che mi ama”, Isaia 41:8) pare strano che egli si rivolga a D-o con parole dure…
Ma egli non aveva altra scelta. La decisione era già stata presa e gli angeli, mandati da D-o erano già diretti verso Sodom per distruggerla. Avrahàm non aveva quindi altra scelta che supplicare al Sign-re di annullare il decreto che minacciava di uccidere molte persone.
Essendo questa un’emergenza, Avrahàm non fece ragionamenti e calcoli e non escluse alcun mezzo, bensì investì tutte le sue forze ed energie nell’intento di salvare Sodom, nonostante i metodi furono contrari alla sua natura pacifica.
Noi ebrei, figli di Avrahàm, dobbiamo prendere esempio dal nostro patriarca. Quando è in gioco la vita di un essere umano, ci si deve dare da fare immediatamente, con tutte le energie e tutti gli sforzi necessari, senza riflessioni superflue.
Questo anche se una condotta tale potrebbe andare in contrasto con il proprio carattere. Quando è in gioco la sopravvivenza – anche spirituale - di un ebreo, non deve essere preso in considerazione nessun ostacolo.
Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch זי”ע
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