Tutto ciò che è sacro è protetto e, qualora necessario, nascosto. Il Kodesh-Hakodashìm, il Santo dei Santi, la stanza più interna del Santuario di Gerusalemme, era il luogo più sacro del mondo. La sua santità consisteva anche nel fatto che nessuno poteva entrarci, eccezione fatta per il Cohèn Gadòl e solo a Yom Kippùr.
Il Sèfer Torà (rotolo di pergamena sul quale il Pentateuco è scritto a mano) è anch’esso santo. Ecco perché in tempi normali è conservato all’interno dell’Arca Santa, dietro una tenda. Quando viene fatto uscire, le persone presenti, sentendo profondamente che il momento è speciale, si alzano. Il Sèfer Torà è costantemente avvolto nel suo manto che viene tolto solo quando viene appoggiato sulla Bimà-il grande leggio della sinagoga. Se deve essere trasportato altrove, in generale lo si ricopre con un tallìt al quale si aggiunge un’altra copertura per un’ulteriore protezione, che ne enfatizza maggiormente la santità.
La nostra parashà, la sezione Vayerà (Genesi 18:22), ci fornisce insegnamenti sulla femminilità, la sacra femminilità, un’immensa forza spirituale. Il pudore femminile fa parte degli aspetti profondi della vita umana, e rende la donna preziosa agli occhi del marito.
La parashà si apre con il racconto della visita dei tre angeli ad Avrahàm. Erano travestiti da viaggiatori e, una volta accolti, domandarono al padrone di casa: ”Dov’è tua moglie?” e lui rispose “È nella tenda”. Rashi, il commentatore biblico per definizione, rileva un senso in queste parole che non è palese a prima vista. Come si legge nei capitoli precedenti, Sarà era una donna di grande bellezza. Nell’affermazione per cui ella si trova nella tenda anziché mostrarsi in tutto il suo incanto davanti ai tre viandanti, c’è un’elegante allusione al suo pudore. Perché gli angeli intendevano riferirsi a questo aspetto della sua personalità? Rashi risponde “Per renderla preziosa agli occhi del marito”.
La discrezione esprime la bellezza interiore ed evoca altresì la spiritualità e la sacralità che caratterizzano la natura intrinseca della femminilità. In un certo senso, la donna rappresenta la Shechinà, la presenza divina nel mondo. La qualità della femminilità è il punto d’incontro tra fisicità e sacralità. Gli angeli erano venuti per annunciare ad Avrahàm che la moglie avrebbe avuto un figlio. È possibile che l’allusione al suo pudore, tramite la quale la resero ancora più amata dal coniuge, facesse parte della loro missione. La modestia è il fulcro dell’ebraismo. Riguarda non solo l’abbigliamento, ma anche la parola e il comportamento. Come lo definisce la legge ebraica, il pudore è valido sia per gli uomini che per le donne. Ma nell’immaginario popolare si applica particolarmente alla donna. La modestia simboleggia la bellezza interiore e al contempo la forza spirituale della femminilità.
Il pudore non comporta che le donne debbano vivere in disparte e nascoste alla società. In base alle parole de nostri saggi, Sarà fu un modello di donna, un'ispiratrice per le sue contemporanee. Il pudore è una virtù di rilievo, ma non deve essere spinta agli estremi come avviene oggi in certe società retrograde. Più in là, la parashà evoca la lungimiranza della matriarca, di gran lunga superiore a quella del marito. D-o disse ad Avrahàm: ”Ascolta la voce di Sarà e fa tutto quello che ti dice”. Rashi aggiunge che ciò significa: ”Ascolta l’ispirazione divina che c’è in lei. E ciò viene ad insegnarci che, quanto a profezia, Avrahàm veniva dopo Sarà.”
La Torà mette in luce diverse qualità della nostra ava: il pudore, la bellezza interiore, la forza di ispirare gli altri e la santità. Ed ella trasmise queste qualità alle sue discendenti attraverso tutte le generazioni.
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