Nella parashà di questa settimana vediamo come i due figli di Avrahàm, Yitzchak e Ismael, seguirono due strade differenti: l’uno doveva formare il secondo anello della catena dei fondatori della nazione ebraica, mentre l’altro doveva diventare il capostipite di un altro popolo, gli arabi.

Quando D-o disse che gli avrebbe dato un figlio, Yitzchak, Avrahàm rispose che sarebbe stato soddisfatto se Ismael avesse seguito le vie del Signore e se la promessa Divina – che Avrahàm sarebbe stato il padre di una grande nazione – si fosse compiuta a mezzo di Ismael.

Non è difficile comprendere i sentimenti del Patriarca. La madre di Ismael, Hagar, aveva seguito fedelmente i principi della fede di Avrahàm. Per di più era stata principessa nella reggia del più potente regno di quei tempi – era infatti figlia del faraone, il re dell’Egitto – ma aveva abbandonato la sua vita regale per servire Sara e formare parte della casa di Avrahàm. Certamente ella aveva allevato in questo spirito pure Ismael. Se si tiene conto di tutto ciò, è davvero difficile comprendere la risposta che D-o diede ad Avrahàm, cui disse ripetutamente: «La tua discendenza prenderà nome da Yitzchak».

Quest’ultimo e Ismael erano veramente differenti sotto molti aspetti. La nascita di Ismael era conforme alle leggi della natura, mentre quella di Yitzchak era stata miracolosa. Era inconcepibile che Avrahàm e Sara potessero, alla loro età, avere figli. Nessuno credeva che ciò sarebbe potuto accadere, e perfino Avrahàm non si considerava degno di un miracolo così grande.

C’era un’altra differenza fra i due figli, ovvero nel modo in cui era stato adempiuto il precetto della circoncisione.

L’età di tredici anni viene considerata quella della maturità e quindi la tradizione ebraica stabilisce che essa sia l’età della responsabilità, quella in cui il ragazzo diventa bar mitzvà, ossia obbligato a compiere tutte le mitzvòt.

Ismael viene circonciso proprio a 13 anni e quindi aderisce coscientemente a stringere il suo patto con D-o.

Yitzchak, invece, venne circonciso quando aveva solo otto giorni! Non si poteva chiedere la sua opinione. La sua ragione, il suo intelletto non erano ancora sviluppati e, tuttavia, egli fu impegnato in un patto eterno con l’Onnipotente.

Ismael si comportò secondo l’esempio della madre e secondo quanto gli dettava la sua ragione e il suo intelletto. A 13 anni la sua ragione lo indusse a stringere un patto con D-o. Anni dopo, invece, proprio quel medesimo intelletto lo spinse a comportarsi in ben altro modo e fu necessario allontanarlo dalla casa di Avrahàm.

D-o volle assolutamente che la discendenza del popolo ebraico fosse assicurata a mezzo di Yitzchak, nato per un intervento sovrannaturale ed entrato nel patto eterno all’età di 8 giorni – quando la sua ragione non poteva influire per nulla.

Il suo legame con D-o, dunque, trascende l’intelletto.

Il messaggio è chiaro. Non possiamo partire dal presupposto che i nostri figli sceglieranno la retta via quando arriveranno all’età della ragione, dobbiamo allevarli ed educarli ebraicamente fin dai primi anni. Dobbiamo insegnare alla nostra gioventù che apparteniamo al popolo più antico, a quello che la Torà, che ha sofferto per tanti secoli le più terribili difficoltà e le persecuzioni e la cui sopravvivenza è miracolosa. Perciò non dobbiamo affidarci alla ragione e alle leggi di natura, poiché il popolo ebraico non è mai stato governato unicamente da tali leggi.

(Saggio basato su Liquté Sichòt vol I, p 19-22. Pubblicato in Il Pensiero della Settimana a cura del rabbino Shmuel Rodal).