La Parashà di questa settimana descrive gli eventi della vita di Avrahàm e i suoi discendenti, dopo la morte di sua moglie, Sarà. Con questo in mente, è difficile capire il senso del nome della Parashà (il quale rappresenta anche il contenuto della stessa): “Chayè Sarà”, ossia “la vita di Sarà”!
I nostri maestri spiegano che la vita nella sua forma più autentica, avendo come fonte il Divino stesso, è anch’essa intrinsicamente eterna. È per questo che nell’ebraismo la morte è legata all’impurità, perché la mancanza di vita indica un vuoto di santità e purezza. Laddove il Divino è rivelato, c’è solo vitalità.
Questo ci aiuta a capire il detto del Talmùd “il nostro padre Ya’akov non morì” (Ta’anit 5b) con tanto di spiegazione: “attraverso la vita della sua progenie, è vivo anche lui”.
Un corpo può morire, ma non una vita (un’anima) legata alla fonte di vita come quella di un giusto come Ya’akov. Al contrario, sono proprio gli eventi che accadono dopo la morte che possono testimoniare sulla continuità della “vita” del deceduto.
Lo stesso vale riguardo la Parashà di questa settimana e la morte di Sarà. Proprio qui, ove vengono descritti gli eventi che seguono la morte di Sarà, si mette in evidenza la parte eterna della sua vita. È possibile vedere l’impatto che ha avuto sul suo ambiente – un impatto che non “muore”.
Gli eventi della Parashà sottolineano la mancanza della figura di Sarà e al tempo stesso dimostrano la sua “vita”.
Avrahàm e Sarà erano i primi ebrei che hanno vissuto nella futura Terra d’Israele ma proprio la sepoltura di Sarà (nella caverna della Machpelà) è risultato dal primo acquisto di terreno da parte di un ebreo nella Terra Santa.
Sarà aveva dedicato la vita al formare la prima famiglia ebrea; il matrimonio di Isacco e Rebecca, descritto in questa Parashà dimostra come il sucessore di Sarà vivesse gli ideali sui quali Sarà aveva fondato la casa ebraica, continuando le sue stesse tradizioni di accendere le candele dello Shabbàt, di seguire le leggi della purezza famigliare e di preparare le challòt per lo Shabbàt e tramandandole a tutte le generazioni future di donne ebree.
Il nome Chayè Sarà, quindi, esprime il vero messaggio di questa Parashà. Poiché fin quando Sarà viveva ancora, la sua vita poteva essere vista come uno stato temporaneo, una vita con un inizio e una fine limitata da un corpo e da un tempo definito.
Solo dopo la sua morte si rivela l’impatto eterno della sua vita.
Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch, זי”ע
I nostri maestri spiegano che la vita nella sua forma più autentica, avendo come fonte il Divino stesso, è anch’essa intrinsicamente eterna. È per questo che nell’ebraismo la morte è legata all’impurità, perché la mancanza di vita indica un vuoto di santità e purezza. Laddove il Divino è rivelato, c’è solo vitalità.
Questo ci aiuta a capire il detto del Talmùd “il nostro padre Ya’akov non morì” (Ta’anit 5b) con tanto di spiegazione: “attraverso la vita della sua progenie, è vivo anche lui”.
Un corpo può morire, ma non una vita (un’anima) legata alla fonte di vita come quella di un giusto come Ya’akov. Al contrario, sono proprio gli eventi che accadono dopo la morte che possono testimoniare sulla continuità della “vita” del deceduto.
Lo stesso vale riguardo la Parashà di questa settimana e la morte di Sarà. Proprio qui, ove vengono descritti gli eventi che seguono la morte di Sarà, si mette in evidenza la parte eterna della sua vita. È possibile vedere l’impatto che ha avuto sul suo ambiente – un impatto che non “muore”.
Gli eventi della Parashà sottolineano la mancanza della figura di Sarà e al tempo stesso dimostrano la sua “vita”.
Avrahàm e Sarà erano i primi ebrei che hanno vissuto nella futura Terra d’Israele ma proprio la sepoltura di Sarà (nella caverna della Machpelà) è risultato dal primo acquisto di terreno da parte di un ebreo nella Terra Santa.
Sarà aveva dedicato la vita al formare la prima famiglia ebrea; il matrimonio di Isacco e Rebecca, descritto in questa Parashà dimostra come il sucessore di Sarà vivesse gli ideali sui quali Sarà aveva fondato la casa ebraica, continuando le sue stesse tradizioni di accendere le candele dello Shabbàt, di seguire le leggi della purezza famigliare e di preparare le challòt per lo Shabbàt e tramandandole a tutte le generazioni future di donne ebree.
Il nome Chayè Sarà, quindi, esprime il vero messaggio di questa Parashà. Poiché fin quando Sarà viveva ancora, la sua vita poteva essere vista come uno stato temporaneo, una vita con un inizio e una fine limitata da un corpo e da un tempo definito.
Solo dopo la sua morte si rivela l’impatto eterno della sua vita.
Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch, זי”ע
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