«E Isacco prese Rebecca e ella divenne sua moglie e lui l’amò ». (Genesi 24, 67)
Una corte moderna
Se Rebecca e Isacco si fossero conosciuti in tempi più moderni, il loro primo incontro sarebbe andato all’incirca in questo modo: Isacco noterebbe Rebecca vicino al pozzo e ne verrebbe folgorato dalla bellezza. Con la coda dell’occhio le lancerebbe sguardi furtivi ai quali lei risponderebbe con un cenno per poi rigirarsi timidamente. A questo punto, suppongo che Isacco si avvicinerebbe tranquillamente a lei per invitarla a prendere un caffé. Dopo aver arrossito ella lo respingerebbe con un’alzata di spalla. Oggi i giovani hanno tutti paura di sembrare interessati ad una persona per timore di non essere ricambiati. Quindi, lui insisterebbe e lei, segretamente invaghita, fingerebbe di lasciarsi convincere controvoglia. Passerebbero il primo appuntamento a cercare di impressionarsi vicendevolmente. Isacco si dimostrerebbe galante e spererebbe di farla ridere mentre lei si atteggerebbe a sembrare interessata, pur mantenendo una certa evasività. Ognuno si domanderebbe ciò che l’altro pensa ma nessuno dei due oserebbe chiederlo. La risposta giungerebbe qualche giorno dopo sotto forma di un invito. Di nuovo, questo invito sembrerebbe normale, ma in realtà sarà il frutto di un’elaborata pianificazione e di un’impaziente bramosia. Un appuntamento tirerebbe l’altro e se la prenderebbero comoda, spaventati di chiedere che cosa l’uno pensa dell’altra. Ognuno cercherebbe di sondare le profondità del cuore dell’altro senza lasciar trasparire le proprie. La gente chiederebbe a Rebecca se ha un amoroso e lei sorriderebbe timidamente e risponderebbe « Si’ ».
« Lo sposerai? ».
«Non lo so».
«Ma tu lo vorresti quell’uomo?»
« Sì, certo!».
«Ma, allora, cosa aspetti? ».
« Bè, mica parliamo di queste cose!»
Poi la gente si rivolgerebbe ad Isacco chiedendogli se farà la proposta di matrimonio e lui risponderebbe «Non sono sicuro che Rebecca sia pronta».
«Glielo hai chiesto?»
«Ma come, vi aspettate davvero che glielo chieda?» E così via per mesi e mesi, fino al punto in cui uno dei due prende il coraggio a due mani e fa la domanda.
Un shiddùch
Fortunatamente, non fu così per i nostri antenati. Questa lunga attesa fu loro risparmiata quando i genitori intrapresero di organizzare l’incontro. Già, proprio così, un matrimonio combinato! Elièzer, il fedele aiutante, risultò essere shadchàn-un ottimo sensale. Incaricato da Avrahàm di trovare l’anima gemella al figlio, tornò a casa del padrone con Rebecca. Non esitarono un mezzo secondo e si sposarono l’indomani. Se si amavano il giorno delle nozze? Improbabile, si conoscevano pochissimo. Rivalutiamo il versetto biblico: «E Isacco prese Rebecca e ella divenne sua moglie e lui l’amò». Prima divenne sua moglie e poi l’amò. Solo dopo il matrimonio scoprirono di ammirarsi reciprocamente e di volersi bene. Sembra scialba come illustrazione, non è vero ? Molto poco romantica. Forse. Ma esaminiamo da vicino l’approccio del shiddùch per capirlo meglio. Il sensale comincia coll’informarsi sugli uomini e donne che intenderebbe unire: gusti, caratteri, personalità, desideri, ambizioni. Cauto, egli starebbe attento a non organizzare appuntamenti tra un ragazzo e una ragazza se questi non condividono gusti, idee e progetti. Quando si vedono per la prima volta, i due giovani adottano pragmatismo e sensibilità. Non la tirano per le lunghe. Si lanciano in una conversazione diretta e sincera. Cercano di capire i punti in comune, se si è creata una certa alchimia fra loro e se si trovano vicendevolmente gradevoli. Sono a proprio agio quando devono affrontare argomenti per i quali, nel caso summenzionato, avrebbero impiegato mesi. Domande quali: «Cosa ti aspetti dalla vita?» e «Come te la immagini la famiglia che vuoi mettere su?» saranno comodamente poste senza imbarazzo. Le famiglie, le personalità, le speranze e le aspirazioni sono questioni da discutere. Ognuno farà in modo di spiegare che tipo di vita spera di condurre. Se i loro progetti sono compatibili, se trovano affinità elettive, allora avranno un’ottima base sulla quale potranno fondare la futura famiglia. Se sono incompatibili e privi del benché minimo punto in comune, sospendono la relazione e proseguono ognuno per il proprio cammino con dignità e rispetto. So quello che pensate : «Signor rabbino, sembra un incontro troppo metodico e programmato. Dov’è il romanticismo? Come si può fare una proposta di matrimonio ad una persona che si conosce solo da una settimana? Non possono volersi bene se si conoscono da così poco tempo!»
Una porta d’ingresso
Nell’approccio del shiddùch, il matrimonio è concepito come una porta d’ingresso attraverso la quale si entra nell’invaghimento, nel romanticismo e nell’amore. Il vero amore non si crea in un solo giorno, ci mette decenni a svilupparsi. Nel nostro mondo di piaceri immediati si apprezza difficilmente questo genere di rapporto il quale, tuttavia, è più autentico di ogni altro. L’ammirazione e la «cotta» possono scaturire in un giorno. L’amore ha bisogno di molto più tempo. Quello vero si fa strada lungo anni di vita comune e si forma quando i due coniugi condividono tutto al punto che non potrebbero mai concepire la vita separati l’uno dall’altra. I potenziali sposi non concentrano i loro pensieri sul giorno delle nozze ma guardano più in là, molto più in là. Capiscono che il vero amore prenderà il tempo di cui avrà bisogno per svilupparsi. Il giorno delle nozze sono felici di spartire fondamenta solide per costruire la loro coppia e avere un legame forte segnato dall’ammirazione, l’impegno e il rispetto reciproci.
Se le basi sono sane e se si prefisseranno obiettivi a lungo termine, le piccole noie della vita potranno essere risolti rapidamente e gli ostacoli sormontati con facilità. E l’amore sarà libero di fiorire e crescere rigoglioso. Prendendo radice nel rispetto e l’ammirazione, nutrito dalla dedizione, l’impegno, la volontà di essere felici, un tale matrimonio è un’ode al Sig-re. Questa era l’unione del patriarca Isacco e della matriarca Rebecca.
Di Rav Lazer Gurkow. Traduzione a cura di Myriam Bentolila
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