Quando ci fu “il patto fra le parti”» D-o disse ad Avrahàm - Abramo: «Sappi che i tuoi figli saranno stranieri in una terra che non sarà loro, che saranno resi schiavi e che soffriranno…e che in seguito ne usciranno con grandi ricchezze».
E spesso, in effetti, siamo stati stranieri in terre straniere. Il Galùt-esilio è molto più doloroso e profondo di un semplice espatrio, si tratta infatti di allontanarci dalla linfa nutrice dei nostri principi e tutta la responsabilità di mantenere viva la fiamma dell’identità spirituale grava solo sull’uomo, il quale deve ricorrere alle sue risorse mentali e psicologiche per sopravvivere. Il Galùt è comunemente considerato come una punizione la cui intensità dovrebbe diminuire dopo aver espiato il peccato che l’ha provocato. Purtroppo, l’oscurità, anziché scemare, aumenta man mano che passa il tempo.
LA PROMESSA
Quando D-o interpellò Moshè per la prima volta per ingiungerlo di fare uscire il popolo dall’Egitto, reiterò la promessa fatta ad Avrahàm: «Quando uscirete, non usicrete con le mani vuote [...] e svuotere l’Egitto (delle sue richezze)». E poco prima dell’Esodo, il Sig-re ribadisce à Moshè: “Ti prego, parla alle orecchie del popolo affinché ogni uomo chieda al suo prossimo egizio [...] gli utensili d’argento e d’oro”. Praticamente il Sig-re supplica i figli di Israele di impadronirsi degli averi del paese. Il Talmùd spiega che il popolo non ci teneva affatto a posticipare la partenza al solo fine di raccogliere quei beni, anzi, la sua unica e prioritaria volontà consisteva nel liberarsi dalle catene della schiavitù il più presto possibile. Ma il Sig-re non voleva deludere Avrahàm al quale aveva annunciato sia la schiavitù sia la liberazione accompagnata da grandi ricchezze. Se avesse eseguito una e non l’altra, Avrahàm avrebbe potuto credere che D-o non mantiene le sue promesse. Egli aveva attuato la prima ed ora doveva mantenere la seconda.
Naturalmente, Avrahàm avrebbe rinunciato volentieri a queste ricchezze se senza di esse il processo di liberazione dei suoi discendenti si fosse accelerato. Pertanto è ovvio che questi “ori e argenti” recavano un significato ben più importante per la redenzione.
Il Bagliore dell'Oro
Il Talmùd offre la seguente spiegazione riguardo al fenomeno del Galùt: “Il popolo d’Israele fu esiliato e sparso fra le nazioni con lo scopo di far aggregare i convertiti”. Di primo acchito sembra un riferimento ai numerosi gentili che, nel corso dei secoli della nostra diaspora, si sono uniti a noi per abbracciare la Torà. L’insegnamento chassidico, tuttavia, suggerisce che il Talmùd parlava delle “scintille di santità” disperse nel Creato. Infatti il grande cabbalista rabbi Yitzchàk Luria sostiene che ogni oggetto, ogni avvenimento possiede una punta di divinità. Quando un essere umano usa un qualsiasi oggetto per servire il Sig-re, egli penetra nella scorza della fisicità per farne scaturire e farne rivivere l’essenza divina. Siamo stati sparsi sulla faccia della terra a tale scopo: per connetterci alle scintille di santità che aspettano la Redenzione in ogni angolo del globo. Ogni anima possiede le sue faville sparpagliate qua e là e nessuna è completa finché non avrà liberato quelle appartenenti al suo essere. Così la persona evolve nella vita, si catapulta da un luogo all’altro, da un’occupazione all’altra, mossa da forze che sembrano casuali. Invece, ogni processo segue il Disegno Divino che guida ogni creazione nell’afferrare questi beni e queste opportunità alle quali la sua anima è intrinsecamente legata.
L’Insegnamento
A volte ci assale la tentazione di scappare dal Galùt e di chiuderci nel nostro bozzolo di spiritualità per consacrare notti e giorni allo studio della Torà e alla preghiera. Ma agendo in tal modo non si fa altro che affondare
ancora di più le radici nell’esilio poiché abbandoniamo le particelle della nostra anima nel deserto della materialità che rimane grezza e inerme. Affrontando gli ostacoli che la Provvidenza colloca sul nostro cammino, ricorrendo all’aiuto di una particella d’oro e d’argento, saremo in grado di estirpare le scintille dalle loro peregrinazioni, raggiungendo così la redenzione personale e accelerare l’avvento della Redenzione Universale, quando “il Grande shoffàr echeggerà [...] e che essi si prosterneranno davanti al Sig-re sul Monte a Gerusalemme”.
Tratto da Likutè Sichòt
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